venerdì 22 agosto 2014

SE E' BUIO ACCENDI LA LUCE

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14  Aforismi e una riflessione a partire dalla domanda
“Quali sono le zone oscure dell’educazione?
Quali elementi ci sono nell’ educazione e nella pedagogia che, se non vengono valutati, portano l‘azione educativa ad essere “pericolosa” per chi educa e chi è educato?
Chi sono i cattivi maestri?
Oppure la pedagogia può  come disciplina, citando Marguerite Yourcenar,  saper guardare nel buio con disobbedienza, ottimismo e avventatezza e scoprire strade inusitate?” by #pedagogicalert

Quali sono le zone oscure dell’educazione?
1- Ultimamente la cosa più oscura che trovo nella educazione è l’educatore.
2 - Alle volte quello che appare più prossimo e lampante, all’educatore, invece, risulta stranamente oscuro e invisibile. 
3 – Il problema dell’educazione sta nel sostantivo. Dovrebbe essere solo un verbo e non un sostantivo. Non dovrebbe esistere il sostantivo educatore ma solo il verbo educare. (In ambiente anglofono, se non erro, il sostantivo educatore non esiste).
4 - Il problema dell’educazione è nato quando ne hanno fatto una professione.

Cosa, se non viene valutato, rende pericolosa l’educazione?
5- L’educazione è pericolosa quando la valutazione precede la verifica. Così come quando si giudica un film senza averlo guardato (mio fratello è figlio unico perché […]non ha mai criticato un film senza prima vederlo. R.Gaetano). 
6 - Quando si affronta un problema educativo bisogna sempre tornare a guardare in basso, alla base, per poter lanciare lo sguardo poco oltre. Quando lo sguardo mira lontano rischiamo di non essere più nel campo educativo.

Cattivi maestri
7  - Un cattivo maestro è chi sottrae la fatica invece di aiutare ad affrontarla perché è il primo che quella fatica non vuole sopportarla.
8 - I cattivi maestri sono coloro che invece di voler affrontare un problema lo vogliono risolvere.
9 - I cattivi maestri sono coloro che vanno a caccia di problemi al costo di inventarseli. Ad esempio: se mio figlio non ha un problema non mi sto prendendo cura di lui.
10 - I cattivi maestri sono coloro che se non riescono ad affrontare un problema allora lo sminuiscono e non lo considerano.
11 - I cattivi maestri sono coloro che riescono solo a dire che c’è un problema. Non conoscono altre parole, quale fatica, difficoltà, ostacolo, vincolo, fuga etc.
12 - L’educatore si è costruito una identità sulla caccia al problema. Per lui se non c’è problema non c’è movimento.

Guardare nel buio
13- Piuttosto che pensare all’educazione come ad una fiaccola che illumina ed apre lo sguardo preferisco pensare all’utilità di una lente che metta a fuoco e circoscriva il campo.
14 - L’educatore dovrebbe sapere che la sua condizione più autentica non è la conoscenza ma il buio. Brancolare nel buio aiuta di più a percepire la necessità di cercare un aiuto più di quanto lo permetta la supposizione.

Nota al troppo criptico aforismi n°3 e n°4– 
Il problema dell’educazione sta nel sostantivo
Il problema dell’educazione non sta nel verbo ma nel sostantivo derivato.
L’educatore è un sostantivo prodotto per derivazione dal verbo educare: quando si dice che le parole alle volte possono far danni.
L’azione dell’educatore si può esprimere pienamente anche con un sol verbo: educare. Ma se questo non bastasse a far comprendere di che azione si tratta si possono utilizzare altri verbi, più prosaiche spiegazioni o diverse ed illimitate declinazioni. Allo stesso modo qualsiasi valida parafrasi utile a spiegare il sostantivo educatore vale anche per il verbo da cui è derivato: educare.
L’educatore cosa fa? Semplice: educa. Questo è un fatto. Anzi una premessa - nonché una tautologia.
Al converso accade in altre professioni; ad esempio  per spiegare l’azione dell’idraulico non esiste un sol verbo ma è sempre necessario ricorrere ad una pluralità di verbi.
Questo per il sol fatto che educatore è un sostantivo derivato (per conversione) dal verbo educare al contrario del sostantivo “idraulico”.
Anche il mestiere di maestro non ha un verbo unico capace di assolve esaustivamente la significazione  del suo lavoro. Nessuno direbbe che il maestro maestra né esiste il verbo maestrare (esistono semmai derivati dal sostantivo: le maestranze o il verbo stesso ammaestrare, il cui suffisso “ad” orienta l’intero sostantivo allo - ad, appunto - scopo)
La sostantivazione del verbo educare ha generato l’equivoco più grosso che ha fatto credere che  l’educatore sia una professione autonoma in grado di bastare a se stessa.
Caso strano, perché il verbo educare può essere associato a tanti sostantivi al contrario del sostantivo “educatore” che esaurisce la sua azione nel verbo educare: l’educatore educa, ma anche il genitore - tra le tante azioni che svolge – educa; così come accade all’insegnante, al tutore, financo al ladro, al giudice ed addirittura all'architetto (e a mille altri sostantivi ancora).
Forse, se l’educatore si considerasse meno assoluto e più relativo, scoprirebbe che il buio è la sua vocazione, l’aspecificità, l’assenza di una determinazione diretta. In sé l’educatore brancola e deve brancolare nel buio. A differenza di altre professioni, l’educatore lavora solo se fa qualcosa, se prende parte ad una azione, se aderisce ad una mansione o ad una professione che può agire educazione. In sé, invece, in quanto educatore non può educare.
Non è un caso che la parola più amata dall’educatore è “la dimensione relazionale”; la relazione (di nuovo un sostantivo aspecifico) è il moloch salvavita dell’educatore. Peccato che la relazione in sé non è nulla, e quindi, di nuovo la relazione diventa significativa quando diventa relazione-educativa. Credendo così che due sostantivi che da soli non sono in grado di specificare nulla di ciò che vorrebbero descrivere, quando sono messi assieme e in sequenza, per l’educatore, assurgono ad un significato profondo, complesso e professionale.
L’educatore dovrebbe chiedere più aiuto alle altre professioni, con umiltà, forte delle domande e non delle risposte che può portare.
Non è un caso che non esiste il mestiere di educatore ma esistono tanti mestieri educativi. Come diceva il Maestro, l’educatore si riesce a spiegare solo se associato al contesto in cui esprime la sua azione: infatti esiste l’educatore con disabili, l’educatore con anziani, l’educatore con minori. Professioni che sostanzialmente sono assai diverse l’una dall'altra: spesso non hanno in comune quasi nulla, non condividono le stesse basi, assunti, regole, normative; lavorano su mandati completamente diversi e con modalità completamente differenti. Si pensi come cambia la relazione educativa tra l’educatore Giovanni e il minore Amedeo. Se Amedeo è un adolescente in un centro di Aggregazione Giovanile avremo una relazione completamente diversa con un Amedeo soggetto ad una messa alla prova o con un Amedeo disabile o con il povero Amedeo minore maltrattato. Stesso ragazzo, stessa età ma storie ed appartenenze esistenziali completamente diverse. Il paradosso non si ferma qui se pensiamo che i diversi genitori di tutti quegli Amedei, invece, condivideranno molte più cose di tutti gli educatori dei diversi Amedei.
Un educatore con 30 anni di esperienza in un campo (ad esempio i disabili) dovesse un giorno entrare in una comunità per minori sarebbe poco meno di un dilettante.
Il problema dell’educazione è nato quando ne hanno fatto oltre che un sostantivo, una professione.

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